domenica 13 novembre 2011

Lino Formica.............




Mauro Miccolis
Licenziamo pure Dante e Petrarca: non servono più. La nostra scuola ha contribuito a fare dell’Italia la settima potenza industriale del mondo, nonché l’economia meno indebitata d’Europa dopo la Germania? Non importa: il super-potere che ha messo al guinzaglio l’Italia farà terra bruciata della nostra cultura. E proprio la scuola potrebbe essere il primo obiettivo di Mario Monti, commissario di fi...ducia designato dall’impero finanziario euro-atlantico. Lo sostengono Fabio Bentivoglio e Michele Maggino, a partire dalla lettera che il “ministro dell’economia” europeo, Olli Rehn, ha inviato a Roma: una lettera «ancora più agghiacciante» di quella di Draghi & Trichet, inviata ad agosto. Perché Olli Rehn spiega che l’Europa vuole colpire al cuore la nostra fabbrica di futuro: il sistema scolastico.



La missiva, inviata il 4 novembre da quel «signore finlandese dall’aria ragionevole e bonaria che ispira fiducia e che ci indica la strada per un futuro migliore dal suo nordico osservatorio distaccato», e che per inciso è il Commissario dell’Unione Europea agli Affari Economici e Monetari, prende per la giacca il governo di Roma chiedendogli come intende mantenere le promesse delle “riforme strutturali” annunciate dall’ultimo Berlusconi, messo alle strette e umiliato dai signori del G20. Tanti i passaggi-chiave: dall’aggiustamento dei conti alla riforma delle pensioni, dalla riforma fiscale a quella del mercato del lavoro, fino all’uso dei fondi Ue, alle “liberalizzazioni” (privatizzazioni) dei beni pubblici. Addirittura, Olli Rehn insiste sulla svendita dell’acqua: chiede esplicitamente «quali provvedimenti di riforma si pensa di varare nel settore delle acque», e lo chiede, testualmente, «malgrado i risultati del recente referendum». Bruxelles annuncia apertamente che imporrà il suo potere sull’Italia «malgrado» gli italiani.

Ma il meglio, sottolineano Bentivoglio e Maggino, arriva sulla scuola: «Quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test Invalsi?», domanda l’euro-censore. I due analisti di “Megachip” trasecolano: «Che c’azzeccano le prove Invalsi con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio dei conti italiani entro il 2013?». E spiegano: l’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione) predispone annualmente delle prove scritte che hanno lo scopo di valutare i livelli di apprendimento degli studenti italiani; come ammette lo stesso istituto, si cerca di integrare la valutazione dell’efficienza delle singole scuole con quella dell’intero sistema educativo. Ed è proprio qui che Olli Rehn non approva: pretende che la selezione sia decisiva per ogni unità scolastica, ogni “individual school”.

«È evidente – scrivono Bentivoglio e Maggino – che non si ragiona più in termini di sistema scolastico ma in termini di singola unità scolastica che deve essere valutata sulla base di criteri omogenei funzionali ad una logica competitiva e di mercato». Si tratta cioè di un’impostazione che, per i due analisti di “Megachip”, «sovverte il dettato costituzionale». Anche perché, aggiungono, «diversamente non ci spiegheremmo la relazione tra la rassicurazione dei mercati sulla futura solidità dell’Italia con una verifica di quanto gli studenti italiani possano conoscere di Dante, Petrarca e Pitagora». E allora che c’entra la scuola col pareggio di bilancio? Olli Rehn è andato fuori dal seminato? «Purtroppo no: quella lettera ha un grande merito, svela la verità: ci dice dove stiamo andando, e non da oggi».

I test Invalsi, aggiungono Bentivoglio e Maggino, fanno parte di un sistema complessivo concepito negli ultimi anni, a partire dalla riforma Berlinguer e dall’introduzione dell’autonomia per gli istituti scolastici e per le università. Un sistema «predisposto da organismi economici con l’obiettivo di implementare criteri di definizione e valutazione di un’istruzione appiattita e finalizzata alle esigenze del mercato e della competitività». Negli ultimi decenni, tutti gli interventi dei grandi organismi internazionali (Fmi, Wto, Banca Mondiale) hanno mirato a creare un mercato mondiale omogeneo, funzionale agli interessi della circolazione delle merci e dei capitali, cancellando ogni differenza: «In qualsiasi ambito della vita produttiva e culturale di una società, le differenze sono viste come impedimenti e rallentamenti alla libera circolazione delle merci e al loro consumo. Tutti dobbiamo avere le medesime competenze funzionali a questa ideologia».

Si prendano dunque provvedimenti, scalpita Olli Rehn, per quelle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti alle prove Invalsi: i lumi della concorrenza e della competitività globale non possono permettere che qualche scolaresca rimanga indietro rispetto al passo dei tempi del neoliberismo. Mario Monti è avvisato: dovrà intervenire sulle singole scuole e alimentare “merito” e “concorrenza”, incrementando anche la “competitività” tra le università, le stesse che poi sfornano gli ottimi ricercatori che il resto del mondo ci contende. Riordinare i conti pubblici con tagli alla cieca, orizzontali, a scapito di chi non può pagarsi un’istruzione costosa? Peggio: è in gioco il dna della cultura italiana, che alimenta la capacità creativa del paese.

«Non si tratta di pareggio di bilancio – protestano Bentivoglio e Maggino – ma di colpire al cuore l’essenza della cultura che consiste nel coltivare diversità di linguaggi, di visioni del mondo e nel promuovere il ventaglio delle tante possibilità esistenziali percorribili nel corso della nostra vita». Oggi, nel novembre 2011, ci troviamo «distanti anni luce dalla scuola pensata e delineata dalla nostra Costituzione più di sessant’anni fa». Amara traduzione: dopo la perdita della sovranità politica (vedi: programma di governo scritto dalla Bce), la perdita della sovranità nazionale (guerra in Libia) e la perdita della sovranità monetaria con l’adesione all’euro, «ora si esige anche la perdita definitiva della sovranità culturale». Settecento anni dopo, Dante Alighieri fa ancora paura?

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